Proctologia Genova

Dott. Tommaso Testa

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Cisti pilonidali sacro-coccigee

Le cisti pilonidali rappresentano una patologia di frequente riscontro, oltre il 5%, nel giovane maschio mediterraneo. Sono infatti la causa più frequente di perdita di giornate lavorative nella 2-3 decade di vita. Benchè le ipotesi eziologiche non siano chiarite in maniera definitiva, si ipotizzano cause disgenetiche (cisti congenite) o determinate da fattori traumatici. Inizialmente nota come la malattia della jeep (per il comune riscontro nei giovani soldati) si riteneva dovuta alle di ripetute contusioni della regione sacrale durante i trasferimenti di truppe. Esistono caratteristiche fisiognomiche spesso specifiche dei pazienti: si tratta nella maggior parte dei casi di soggetti maschi (5:1), con muscolatura glutea ben rappresentata, appartenenti a razze mediterranee e quindi con discreta pilosità. Meno affette le femmine e le razze sassoni, tendenzialmente glabre. Le osservazioni di Ligidakis hanno consentito di identificare caratteristiche dei peli e dei capelli (durezza e conformazione ultrastrutturale degli apici) che rendono più facile lo sviluppo della malattia. Lo sfregamento dei peli (o dei capelli caduti) all’interno del solco intergluteo, contestuale alla particolare conformazione fisica dei soggetti è il meccanismo che  sembra determinare la comparsa della cisti pilifera e dei successi eventi di infezione e flogosi.

Talvolta asintomatiche, la comparsa di un ascesso della regione sacro-coccigea rappresenta generalmente il quadro di esordio. E’ necessario procedere all’incisione ed al drenaggio dell’ascesso, cui fa seguito la guarigione dall’episodio acuto. E’ in questa fase che il paziente giunge alla attenzione dello specialista, spesso con cisti fistolizzate a distanza dalla linea mediana.

La diagnosi è immediata e solo eccezionalmente le cisti pilonidali possono essere confuse, quando estese verso il perineo, con fistole anali posteriori.

Il trattamento è chirurgico con exeresi della cisti e delle sue propaggini fistolose. Due sono le problematiche connesse: la tecnica di gestione della ferita che esita all’exeresi e la incidenza delle  recidive. Eseguita l’asportazione della cisti condotta in profondità fino al piano sacrale e delle sue estensioni laterali residua una soluzione di continuo più o meno ampia e profonda che potrà essere lasciata aperta e stipata di garze antisettiche (tecnica open) oppure suturata (tecnica chiusa). Nel primo caso, la ferita guarirà di seconda intenzione con tempi prevedibilmente lunghi (e certamente superiori alle 4 settimane) e saranno necessarie medicazioni ambulatoriali protratte con conseguente disagio e costi non trascurabili (impegno orario del paziente e del personale medico-infermieristico).
La chiusura della ferita appare quindi auspicabile, quando lo stato settico flogistico non lo controindichi per la presenza di raccolte purulente. Ma la sutura va incontro al cedimento (deiscenza) in una alta percentuale dei casi (fino al 40%). Ciò è dovuto alla facilità di infezione, al confezionamento di suture sotto trazione sulla linea mediana, al formarsi di raccolte siero ematiche nella cavità residua. Per ovviare a questa problematica si sono sviluppate tecniche di ricostruzione plastica  con formazione di lembi cutanei o profondi, ed è consigliato posizionare drenaggi e dispositivi di aspirazione.

L’utilizzo di gel piastrinico autologo appare in grado di migliorare i risultati grazie ai fattori di crescita tissutale contenuti ed all’incremento della capacità di riparazione e di difesa dalle sovrainfezioni. La scelta terapeutica andrà quindi modulata sulle caratteristiche locali della cisti pilonidale (estensione, presenza di fistole a distanza, livello di flogosi) e delle necessità del paziente (attività lavorativa o più spesso impegni scolastici). L’intervento viene in genere eseguito in anestesia locale in regime ambulatoriale e solo di rado si rende necessaria l’anestesia locoregionale epidurale ed il ricovero giornaliero.